


Best Friend, conosciuto anche come Good Neihgbor, è ambientato negli anni 80. Lee Eui-sik (Oh Dal-soo), il capo del Partito di opposizione di Sinistra, torna in Corea dopo un esilio di 3 anni per concorrere alle elezioni presidenziali. Il capo della Sicurezza Nazionale Kim (Kim Hee-won) lo preleva con la forza all’aeroporto e lo confina agli arresti domiciliari. Al fine di trovare prove per estrometterlo dalla corsa presidenziale, che dimostrino i suoi rapporti con gli ambienti comunisti e sovversivi, Kim ordina al capo della sorveglianza di Busan, il “patriota” Yoo Dae-kwon (Jung Woo), di intercettare le conversazioni di Lee nella sua abitazione con l’ausilio di cimici.

Titolo Originale
이웃사촌 (i-ut-sa-chon)
Genere
Commedia, Drammatico
Regia
Lee Hwan-gyeong
Sceneggiatura
Kim Yeong-seok, Lee Hwan-gyeong, Yoon Pil-joon
Interpreti
Jung Woo, Oh Dal-soo, Kim Hee-won, Kim Byung-chul, Lee Yoo-bi, Cho Hyun-chul, Ji Seung-hyun, Kim Sun-kyung, Yum Hye-ran, Jung Hyun-joon, Kim Ki-cheon, Park Chul-min, Shim Yi-young
Corea del Sud, 2020, 130′

Film di finzione che restituisce un clima storico-politico realmente esistito, Best Friend utilizza la formula della commedia che si risolve in dramma, tanto cara al regista.
Come nel precedente Miracle in Cell No.7, Lee Hwan-gyeong infatti passa tutta la prima parte a presentarci una serie di personaggi alle prese con situazioni comiche e imbarazzanti. Per farlo utilizza volti come Yum Hye-ran, nei panni della governante sospettosa, o come Kim Byung-chul e Cho Hyun-chul, maldestre spie che riescono a farla franca. Mentre maschere comiche come Kim Ki-cheon e soprattutto Park Chul-min vengono relegate unicamente a un contesto drammatico, che prende tutta la seconda parte del film. Jung Woo e Oh Dal-soo dal canto loro, animano entrambi i generi e le porzioni di film.
Ma mentre Oh Dal-soo riesce a trovare un equilibrio credibile tra i due registri, Jung Woo calca non poco il lato drammatico. E complice un’inflessione dialettale marcata durante le scene drammatiche, si lascia andare ad un overacting stucchevole.
Non mancano scene degne di nota. Come lo stare in piedi di Lee Eui-sik davanti al cancello di casa per poter stare più vicino possibile all’amico morto in circostanze sospette. O il ventriloquio di una delle spie per uscire fuori da situazioni disperate. Ma vi sono anche trovate estemporanee che poco hanno a che vedere con l’intreccio e molto con la spettacolarizzazione fine a sé stessa. Come ad esempio l’insensata corsa nel traffico di un mezzo nudo Dae-kwon.
Da sottolineare poi alcuni dettagli che descrivono il clima di caccia alle streghe del periodo. Alcuni parossistici, come obbligare un figlio a mangiare con la destra, e altri realistici, come il bandire una canzone per i suoi testi vagamente allusivi.
Seppur semplicistico nell’esposizione poi, il film di Lee Hwan-gyeong, invita a prendere la soluzione più sofferta, che impone più sacrifici, al fine di rischiare la vita per vivere, piuttosto che vivere per sopravvivere sotto il giogo di un regime autoritario e dispotico.
Pubblicato il 04/01/2021 da KoreanWorld.it
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