


L’avvocato Yang Soon-ho (Jung Woo-sung) in passato si occupava di cause in difesa dei diritti civili, ma per ripianare i debiti del padre (Park Geun-hyung), che ha fatto da garante a prestiti chiesti da amici in difficoltà, è entrato nello studio legale che difende le grandi corporazioni contro cui si batteva e la sua migliore amica Soo-in (Song Yoon-ah) ancora si batte. Con la promessa di essere promosso come associato, gli viene assegnato un caso pro bono che ripulisca l’immagine dello studio. Soon-ho dovrà difendere la governante Oh Mi-ran (Yum Hye-ran), accusata dell’omicidio del suo datore di lavoro. Sebbene l’imputata sostenga di aver cercato di soccorrere la vittima mentre si stava suicidando, viene incastrata dalla testimonianza di Yim Ji-woo (Kim Hyang-gi), una quindicenne autistica che, per via della sua condizione, non viene considerata attendibile quanto le prove a sostegno della difesa.

Titolo Originale
증인 (jeung-in)
Genere
Courtroom Drama
Regia
Lee Han
Sceneggiatura
Moon Ji-won
Interpreti
Jung Woo-sung, Kim Hyang-gi,
Lee Kyu-hyung, Yum Hye-ran,
Jang Young-nam, Jung Won-joong,
Kim Jong-soo, Kim Hak-sun,
Park Chan-young, Lee Chae-eun,
Kim Seung-yoon, Choi Jong-ryul,
Park Geun-hyung, Song Yoon-ah,
Lee Joon-hyuk, Lee Re
Corea del Sud, 2018, 129′

Il regista di Lover’s Concerto torna con un courtroom drama che mette al centro dell’attenzione la “diversa abilità” e i pregiudizi che la circondano.
Jung Woo-sung interpreta un bravo avvocato onesto e gentile, ma che ha perso per strada i suoi ideali in favore di un comprensibile pragmatismo. Il padre è malato di Parkinson e per accudirlo deve guadagnare non certo con le cause pro bono, e suggerisce all’amica di non intentare una causa impossibile da vincere contro una multinazionale, ma piuttosto di patteggiare possibili risarcimenti per i suoi clienti. A far crollare questo fragile equilibrio, ridestando i suoi antichi ideali, intervengono due fattori agli antipodi. Il capo (Jung Won-joong) lo invita a “sporcarsi le mani” per fare carriera, e l’incontro con Yim Ji-woo (Kim Hyang-gi) lo sprona a mettere in discussione le sue certezze. La sua bontà lo induce a fidarsi ingenuamente della sua cliente, quando è lo stesso figlio della vittima a suggerire all’avvocato di non fidarsi delle persone, ma della logica matematica, ovvero ciò di cui è costituito il mondo di Ji-woo. Per il sentire comune l’autismo è una disabilità che non permette ai soggetti coinvolti di uscire dal proprio mondo interagendo con l’esterno e di discernere lo stato d’animo degli altri individui, rendendo inattendibile una loro testimonianza durante un processo. Ma il pubblico ministero Hee-joong (Lee Kyu-hyung) suggerisce a Soon-ho di sforzarsi a trovare una chiave per entrare nel mondo della ragazza, in modo da comprendere che quello che ipotizzava essere un fraintendimento dovuto alla sua disabilità, è invece una registrazione indiscutibile dei fatti, dovuta alla sua abilità fuori dal comune. Un’abilità che magari non le permette di capire quando sua madre è adirata, ma che non le impedisce di comprendere che le vuole comunque bene, a differenza di chi nasconde paure (l’amica bullizzata) e secondi fini (Soon-ho) dietro un sorriso.
Il processo con cui Soon-ho giunge a questa presa di coscienza, denota una certa faciloneria nella sceneggiatura. Come d’incanto, solo dopo aver intuito di essere stato ingannato, l’avvocato avvia indagini rivelatorie che avrebbe potuto compiere anche prima.
Ma nonostante qualche difetto veniale che non scalfisce la solida narrativa del dibattito processuale, il film riesce nel suo intento eticamente istruttivo e costruttivo non risparmiando momenti di sano buonumore (i siparietti comici con il padre, i quiz alle 5 del pomeriggio tra Kim Hyang-gi, che aveva già lavorato con Lee Han nel suo Thread of Lies, e Jung Woo-sung, il “buono” per antonomasia) e chiudendo con un finale emozionante in linea con il cinema del regista.
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Pubblicato il 14/09/2020 da KoreanWorld.it
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