



Lee Eun-yi è una donna divorziata sui trent’anni semplice e ingenua che viene assunta come tata da una famiglia altolocata, ma ben presto Hoon, il padrone di casa, che è sempre stato abituato ad ottenere ciò che vuole fin da bambino, si approfitta di lei mettendola incinta. La governante Cho Byung-sik riferisce la relazione adulterina a Mi-hee, la suocera di Hoon, che si adopera affinché Eun-yi abortisca e non rappresenti così più una minaccia per la figlia Hae-ra e i suoi nipoti.

Basata sul classico The Housemaid del 1960 di Kim Ki-young, la nuova versione di Im Sang-soo non è un vero e proprio remake, ma più una sorta di rivisitazione aggiornata ai tempi d’oggi, visto che la sceneggiatura differisce quasi totalmente dall’originale. Se nel classico del 1960 protagonista era una madre di famiglia della classe media che lottava per diventare abbiente, mezzo secolo dopo quella donna diventa talmente ricca da non avere altri obiettivi da raggiungere se non quello di difendere la posizione sociale raggiunta con le unghie e con i denti. Ed è comunque qui che intervengono elementi che si ricollegano al cinema di Kim Ki-young, come la fissazione per la riproduzione, che per Kim Ki-young serviva a prolungare l’esistenza tramite la discendenza, mentre con Im Sang-soo diventa un lasciapassare per il benessere. A ricordare il remake di Kim Ki-young, se non proprio il suo cinema, vi sono anche dei dettagli di sfondo, omaggi impercettibili, dal ripiglino in ospedale ad oggetti della mobilia che ricordano quelli usati da Kim Ki-young in altri suoi film, o il discorso di Hoon sull’importanza del ruolo della domestica (“Ma lei crescerà i miei figli… E cucinerà il cibo che mangerò. È una persona importante. Dovrei accoglierla in maniera appropriata.”) e la reazione di Hae-ra sull’impurezza di Hoon, ma niente di sostanziale. In questo modo Im Sang-soo tende a sdoganarsi dal peso di una pedissequa riproduzione, approfondendo da buon sociologo le dicotomie di classe e di genere, ancor più marcate nella modernità raggiunta di oggi piuttosto che negli anni 60, in cui quella classe media che oggi si sta sempre di più sfaldando muoveva i primi passi, e dove la “donna insetto” che irretiva l’uomo, si arrende alla disillusione del mito dell’emancipazione, in una società che pur nelle sue contraddizioni rimane oggi sostanzialmente ancorata ad una struttura patriarcale, e ci riuscirebbe se verso la fine non rincorresse Kim Ki-young proprio sul suo campo, spingendo l’acceleratore su un grottesco indecifrabile, contraddittorio e slegato dal contesto fino a quel punto narrato. Esempio lampante è proprio il personaggio della domestica, che prima decide di vendicarsi e poi s’impicca rinnegando le sue intenzioni iniziali, o il quadretto familiare finale, talmente incomprensibile da sfuggire a qualsiasi lettura: Le pin up di Hollywood, ingenue vittime dello star system e dei poteri forti (Robert(o) Kennedy? Roberto Benigni? ) come la domestica del titolo? Mah!
Se Kim Ki-young considerava l’uomo un inetto dipendente dalle donne, Im Sang-soo ne riproduce una versione più egoistica e sicura di sé. Il personaggio della governante, elemento di novità rispetto all’originale del 1960, rispecchia il ruolo femminile, come mostrato anche nell’incipit iniziale, dove le donne sono rappresentate come gli elementi della società che fanno girare il mondo, lavorano nell’ombra e sacrificano la loro felicità per il bene dei propri figli maschi, che nel caso di Hae-ra diventeranno degli uomini come Hoon, e in una società patriarcale dura a morire è in ciò che risiede il loro successo personale. Emblematico in questo senso è il discorso della madre:
“Non c’è bisogno che te la prenda con Hoon. Fin da quando è nato, ha ottenuto sempre tutto quello che voleva. Qualsiasi cosa vedesse, se la voleva, era sua. Ad ogni costo. Tutti gli uomini che fanno parte di quella famiglia sono fatti così. Guarda tua suocera. Ha patito le pene dell’inferno a causa di quegli uomini. La gente comune non può neanche immaginare quanto. Ma ha sopportato tutto fino a diventare chi è oggi. E guardala adesso. Non c’è anima viva che non baci la terra su cui cammina. Anche tu sarai come lei. E i tuoi figli saranno come Hoon. È quello che vogliamo entrambe, dico bene? Lascialo andare a letto con chi gli pare. In seguito, potrai godere dei benefici del tuo ruolo e vivere come una regina.”
Cast delle grandi occasioni e interpretazioni degne del loro nome. A partire da Jeon Do-yeon, che ha il ruolo complesso di una domestica allo stesso tempo ingenua e disinibita, irresistibile nel finale quando fa il verso ad Hoon, ma il personaggio cucitole addosso manca della personalità ruspante e schizofrenica dell’attrice dell’originale, risultando spesso spaesata, più vittima provocata che carnefice provocatrice, e non basta una cicatrice sulla coscia a restituire quel fascino macabro che aveva Lee Eun-shim. Seo Woo interpreta un personaggio viziato e intrattabile, inedito rispetto ai ruoli che è avvezza interpretare, ma sorprendentemente tagliato su misura per lei, mentre Yun Yeo-Jong da’ vita a un personaggio irresistibilmente ironico, attestandosi come vero anello di congiunzione con il suo “regista-feticcio” Kim Ki-young. Piccolo cameo per Moon So-ri che interpreta la dottoressa, e almeno una volta nella vita, in un’unica scena, si vedono recitare a fianco le migliori attrici del cinema coreano.

Titolo Originale
하녀 (Hanyo)
Genere
Thriller
Regia e Sceneggiatura
Im Sang-soo
Soggetto
Kim Ki-young
Interpreti
Jeon Do-yeon (Lee Eun-yi); Lee Jung-Jae (Go Hoon);
Yun Yeo-Jong (Cho Byung-sik); Seo Woo (Haera);
Ahn Seo-Hyeon (Nami); Park Ji-yeong (Mi-hee);
Hwang Jeong-min-I (amica di Eun-yi); Moon So-ri (dottoressa)
Musiche
Kim Hong-jib
Fotografia
Lee Hyeong-deok
Montaggio
Lee Eun-su
Produzione
Chae Hui-seung, Choe Pyeong-ho
Corea del Sud 2010, 106 min.

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Pubblicato il 28/04/2020 da KoreanWorld.it
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