








Jeong-yeon (Lee Young-ae) e Myeong-gook (Park Hae-joon) sono alla costante ricerca del proprio figlio Yoon-su, ormai scomparso da sei anni. Un poliziotto (Seo Hyun-woo) sospetta che il piccolo Min-soo (Lee Si-woo), un orfano schiavizzato dal proprietario di un’azienda di pesca (Jin Yoo-young), possa essere Yoon-su, e cerca di informare Jeong-yeon. La donna si reca nel luogo in cui si trova Min-soo, ma ad accoglierla ci sono solo un poliziotto corrotto (Yoo Jae-myung) e i pescatori del luogo che cercano di nascondere alla donna una verità fatta di abuso e sfruttamento minorile.



Titolo Originale
나를 찾아줘 (na-reul chat-a-jweo)
Genere
Drammatico, Thriller
Regia e Sceneggiatura
Kim Seung-woo
Interpreti
Lee Young-ae, Yoo Jae-myung,
Park Hae-joon, Lee Won-geun,
Heo Dong-won, Baek Joo-hee,
Jin Yoo-young, Jung Ae-hwa,
Kim Jong-soo, Lee Hang-na,
Jong Ho, Seo Hyun-woo,
Lee Si-woo, Kim Tae-yool
Corea del Sud, 2018, 108′



L’esordio alla regia di Kim Seung-woo segna il ritorno sul grande schermo di Lee Young-ae dopo uno iato di 14 anni da Lady Vendetta di Park Chan-wook, con il qualche aveva esordito come protagonista nel 2000 in JSA – Joint Security Area.
Come molti film di cui è costellato il panorama cinematografico coreano, da A Girl at My Door di July Jung a Silenced di Hwang Dong-hyuk, passando per il recente Miss Baek di Lee Ji-won, Bring Me Home è un thriller carico di suspense che concentra la sua attenzione sul tema dell’abuso e dello sfruttamento minorile, non risparmiando dettagli raccapriccianti (abuso sessuale), anche se non mostrati esplicitamente.
Come nel Cinema di Lee Chang-dong, perfino coloro che dovrebbero empatizzare con le vittime della sorte nascondono neanche tanto velatamente i loro intenti egoistici ed egocentrici. Il fratello di Myeong-gook e consorte fingono apprensione per la sventurata cognata, per poi arrivare perfino ad ingegnare uno stratagemma per spillarle i soldi dell’assicurazione sulla vita del defunto marito, pur di garantire una buona educazione al proprio figlio. E ancora, Il vecchio Choi, sebbene riconosca in Min-soo il figlio che ha lasciato dalla nonna e di cui supporta finanziariamente gli studi, chiude più di un occhio di fronte agli abusi subiti dal bambino e assale Jeong-yeon per paura di perdere il lavoro.
Yoo Jae-myung riesce a dare vita ad un villain odioso, un poliziotto di provincia corrotto e sentinella di una fortezza di omertà. Non si fa scrupoli ad uccidere un cerbiatto e la sua madre, come a far di tutto per impedire a Jeong-yeon di riabbracciare il suo “cucciolo”, forza lavoro del suo sodale in affari. A non convincere pienamente invece è il percorso senza intoppi della protagonista, armata solo della sua forza della disperazione, con cui è capace di mettere a tappeto chiunque le si presenti davanti senza essere sfiorata neanche da una pallottola. Mentre il personaggio di Lee Won-geun (Misbehavior), centrale nel tratteggiare le sfumature sull’abbandono minorile (crede di essere stato abbandonato ma era stato solo smarrito dai suoi genitori), svanisce in medias res senza nemmeno fare capolino al termine del film.
Il finale, prima di sfumare nella speranza, evita svolte prevedibili spostando il focus dalla storia al tema trattato, da Yoon-su a Min-soo, simbolo di un’infanzia negata.
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Pubblicato il 01/06/2020 da KoreanWorld.it
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