


In I Don’t Fire Myself, l’azienda per cui Jeong-eun (Yoo Da-in) lavora la trasferisce per un anno presso una ditta appaltatrice che si occupa di manutenzione degli elettrodotti. In realtà il trasferimento è un atto di mobbing per indurre Jeong-eun a dimettersi. Tuttavia quest’ultima cerca di resistere impegnandosi nel lavoro sul campo, nonostante le diffidenze dei suoi nuovi colleghi. Grazie a uno di questi (Oh Jung-se), impara il mestiere in modo da poter superare le valutazioni richieste dalla sua azienda. Ma un incidente la porterà a ribellarsi contro i suoi datori di lavoro.

Titolo Originale
나는 나를 해고하지 않는다 (na-neun na-reul hae-go-ha-ji anh-neun-da)
Genere
Drammatico
Regia e Sceneggiatura
Lee Tae-gyeom
Interpreti
Yoo Da-in, Oh Jung-se, Kim Sang-gyoo, Kim Do-gyun, Park Ji-hong, Won Tae-hee, Lee Joo-won, Choi Ja-hye, Kang Ji-goo, Kim Sung-mi, Ahn Yong-joon, Kang Joon-seok, Kim Gyoo-ri, Lee Ye-seong
Corea del Sud, 2020, 111′

Tratto da una storia vera, I Don’t Fire Myself di Lee Tae-gyeom denuncia la pratica del mobbing e le morti bianche in un mercato del lavoro sempre più esternalizzato e iniquo.
Jeong-eun è il simbolo di una “risorsa” che ha tutte le carte in regola per meritare una carriera dignitosa. Ha studiato sodo per raggiungere una posizione. Ma essendo orfana non ha le spalle coperte. Inoltre, da donna subisce le discriminazioni di un sistema patriarcale restio ad evolversi e di una solidarietà femminile assente. Se ne approfittano i suoi datori di lavoro, che prima la confinano in un angolo senza assegnarle mansioni, e poi la scaricano ad una ditta appaltatrice. Lì poi v’incontra colleghi che la prendono per la ragazza che consegna il pranzo o fa le pulizie. E il suo nuovo superiore le fa capire di essere un pesce fuor d’acqua, un colletto che da bianco non può passare a blu.
L’amica le suggerisce di trovarsi un marito tramite un appuntamento al buio per sistemarsi, visto che con quello che guadagnano non possono aprirsi nemmeno una rosticceria. Tuttavia Jeong-eun cerca di reagire e mettersi di nuovo in gioco, in attesa di essere reintegrata nella posizione che le compete.
Ma non è solo Jong-eun a subire il ricatto di una società che sfrutta non pagando gli straordinari e discrimina per poi mettere in disparte. Anche i suoi colleghi sono sotto stretta osservazione di un ente che è stato privatizzato, e che conseguentemente antepone ai diritti dei lavoratori (la sicurezza, la fornitura dell’equipaggiamento di lavoro), l’efficientamento della produzione. Termine che si traduce in un taglio del personale o nella perdita della commissione da parte della ditta appaltatrice.
Il personaggio interpretato da Oh Jung-se è ad esempio un’altra vittima di quest’ingranaggio perverso.
A differenza di Jong-eun, che ha paura di morire cadendo da altezze vertiginose, egli ha paura di perdere il lavoro. Per tale motivo si barcamena in diversi lavoretti part-time che gli tolgono il sonno e di conseguenza l’efficienza lavorativa. Deve mantenere le figlie, che gli infondono coraggio quando deve scalare i tralicci dell’alta tensione. Figlie, che ricevono una modesta compensazione da parte di un’azienda che desidera solo risparmiarsi grane legali.
Anche Jong-eun riesce a trovare quel coraggio, quando ormai il lavoro l’ha perso e non ha più nulla da perdere. Quel che le preme è far tornare la luce a un’isola sperduta, a una minoranza che è pur sempre importante e non bisogna ignorare, anche se non aumenta il fatturato, e che un ente privato che svolge una funzione pubblica dovrebbe attenersi a rispettare.
Licenziata dalla sua famiglia che l’ha lasciata orfana, dai suoi colleghi che l’hanno emarginata e dalla sua azienda che l’ha sottoposta a mobbing, Jong-eun si accorge di avere un cappio intorno al collo. Per non morire impiccata può solo resistere, non dimettersi come la sua azienda vorrebbe, e battersi contro le storture di un capitalismo che disumanizza i rapporti di lavoro.
Pubblicato il 29/11/2021 da KoreanWorld.it
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