


L’ex agente della sicurezza nazionale Min Ki-hun (Gong Yoo) viene invitato dal direttore Ahn Ik-hyun (Jo Woo-jin) a sottoporsi ad un esperimento con Seobok (Park Bo-gum). Costui è il primo esemplare di essere umano, clonato da cellule staminali geneticamente modificate. Oltre a crescere il doppio di un uomo normale, Seobok possiede poteri soprannaturali, ed è in grado di vivere in eterno. Poiché Ki-hun ha un tumore al cervello in fase terminale, il midollo spinale di Seobok è l’unico elemento che può salvargli la vita. Ma la possibilità di mettere le mani su una tecnologia che renda immortali, fa gola a chi ne concepisce l’utilizzo in ambito militare. E dopo che alcuni mercenari al soldo del ricco magnate Kim Chun-Oh (Kim Jae-geon) cercano d’impossessarsi di Seobok, il direttore Ahn ne ordina l’eliminazione.

Titolo Originale
서복 (seo-bok)
Genere
Fantascienza
Regia e Sceneggiatura
Lee Yong-joo
Interpreti
Gong Yoo, Park Bo-gum, Jo Woo-jin, Jang Young-nam, Park Byung-eun, Sung Il, Lee Eon-jeong, Na Kwang-hoon, Kim Jae-geon, Andreas Fronk, Jung Mi-nam, Lee Eon-jung
Corea del Sud, 2020, 114′

A metà tra film d’azione e film di fantascienza, Seobok amplifica le prospettive sulla clonazione umana e la manipolazione genetica, non lesinando riflessioni filosofiche sulle possibili conseguenze.
La Corea del Sud, più di ogni altro paese, ha mostrato in passato sviluppi controversi in materia di clonazione. E così lo scandalo in cui fu coinvolto lo scienziato Hwang Woo-suk, accusato di aver clonato un embrione umano, diventa la genesi del background narrativo che fa da sfondo all’azione del film.
Ma Seobok non è solo un clone diverso dall’originale, che una madre addolorata per la perdita di un figlio s’illudeva invece di poter avere. È soprattutto un organismo geneticamente modificato, che può essere sì d’aiuto alla scienza medica, ma a costo di immorali e incessanti torture sull’esemplare. Inoltre l’ingegneria genetica gli consente di aumentare le capacità cerebrali a tal punto da governare la materia circostante e nondimeno di vivere in eterno. Non a caso infatti Seobok non è altro che il nome coreano di Xu Fu, emissario della dinastia Qin mandato dall’imperatore a cercare l’elisir di lunga vita, e simbolo del desiderio dell’umanità di vincere la morte.
A rischio di sembrare fin troppo didascalico in alcune sequenze pur di giustificare le teorie esposte, il regista Lee Yong-joo disamina ogni tema con cura certosina.
I suoi personaggi discorrono ad esempio sulla paura della morte, che persuade gli esseri umani a provare a realizzarsi nella vita, a darle significato. Tuttavia, se la vita non finisce, viene meno tale urgenza, e l’individuo non può che abbandonarsi ad avidità e desiderio. L’immortalità non può far altro quindi che provocare desideri insoddisfacenti e continui conflitti. Paradossalmente la morte è dunque l’elemento fondamentale che tiene insieme la vita. E se le persone diventano immortali, l’umanità si avvia conseguentemente all’estinzione.
Lo sa bene Ik-hyun (il tenebroso Jo Woo-jin già apprezzato in Steel Rain), che tenta in tutti i modi di fermare Seobok. Come lo sa altrettanto bene Kim Chun-Oh, interessato a mettere le mani sul clone non tanto per prolungare la propria vita, ma per avere il potere divino di decidere chi rendere immortale o meno.
Seobok assimila tutte queste informazioni come un bambino che chiede costantemente i perché della vita al proprio genitore, come nella disquisizione sulla differenza tra morte e sonno, fino a comprendere come l’immortalità sia una condanna quanto la mortalità. Anche Ki-hun finirà col comprendere che tanto morirà comunque un giorno o l’altro, al di là che guarisca o meno. Ha di certo paura di morire, ma anche di vivere con l’indelebile senso di colpa per aver causato vigliaccamente la morte di una collega.
Pubblicato il 18/04/2021 da KoreanWorld.it
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