

Documentario sulle donne di conforto coreane, sessualmente schiavizzate dall’Esercito Imperiale Giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale.

Genere
Documentario
Regia e Sceneggiatura
Dai Sil Kim-Gibson
USA, 2000, 55′

Il breve documentario di Dai Sil Kim-Gibson riprende un tema già ampiamente sviscerato nella serie di documentari Murmuring della regista Byun Young-Joo (servendosi delle stesse testimonianze) e tornato in voga ultimamente tramite il cinema di finzione con film come Spirits‘ Homecoming (2015) di Cho Jung-rae, I Can Speak (2017) di Kim Hyun-seok e Herstory (2017) di Min Gyoo-dong. Il tema è ritornato di attualità con lo spegnersi delle ultime testimoni, per non rischiare che con le loro morti scompaia anche la lotta per il riconoscimento della violenza subita da parte di un governo giapponese restio a confessare il danno perpetrato e a porgere scuse ufficiali alle vittime.
Il documentario in oggetto combina interviste alle donne di conforto coreane e a studiosi e testimoni giapponesi con materiale d’archivio e scene di finzione.
Sebbene le donne, considerate come “forniture militari”, fossero di ogni nazionalità (cinesi, filippine, ecc..), le coreane erano di gran lunga le più numerose, poiché provenivano dalla colonia più vicina all’Impero e da un paese ormai completamente annesso e impotente. Tra queste donne, Kim Hak-soon (morta nel 1997) ruppe il silenzio nel 1991, in quanto il governo giapponese non faceva che negare l’accaduto. Insieme a lei, molte altre presero il coraggio di rivangare un passato doloroso, raccontando di come vennero prelevate vergini (alcune avevano perfino 12 anni) dalle loro case, a volte con l’inganno, promettendo loro, in caso si fossero offerte volontarie, di farle partire per un posto dove avrebbero potuto ricevere migliori cure, cibo e divertimento. Mentre ad aspettarle trovarono schiere di soldati pronti ad abusare dei loro corpi fino a straziarli. Hwang Keum-ju, quando scese da una nave (dove ebbe le prime e uniche mestruazioni della sua vita) a Jakarta, fu portata in un centro ginecologico per essere sottoposta ad un intervento chirurgico che la rendesse sterile, poiché alle sventurate a cui capitava di rimanere incinta non restava altro che partorire di nascosto feti morti o essere squartate vive.
Nonostante vi siano testimonianze giapponesi a corroborare le storie delle vittime, il documentario presenta anche interviste a negazionisti giapponesi, da un ex soldato dell’impero che le considera prostitute volontarie che raggiungevano il fronte per arricchirsi, a professori universitari che rigettano l’idea che una nazione che abbia istituzionalizzato la prostituzione come il Giappone possa aver necessità di ricorrere allo schiavismo sessuale.
Ma il documentario fa anche notare come donne tedesche e inglesi, usate come donne di conforto, furono immediatamente risarcite dal governo giapponese subito dopo la guerra, a dimostrazione dell’ammissione del dolo, che però non ha riguardato le donne coreane, trascurate dal Giappone e anche dagli Stati Uniti, colpevoli di non aver indagato a fondo sulla vicenda. A causa della Guerra Fredda infatti gli Stati Uniti si concentrarono sulla ricostruzione economica del Giappone. Il governo tedesco stilò un rapporto sull’accaduto, ma non rilasciò il materiale originale. Nel 1965 fu firmato il trattato tra Giappone e Corea, e il governo coreano non poté tirare in ballo la questione per ragioni politiche. E gli ufficiali giapponesi, dal canto loro, bruciarono tutta la documentazione riguardante le donne di conforto per non rischiare denunce alla Corte Marziale.
Il risarcimento è stato chiesto anche dalle donne coreane, ma le testimoni ci tengono a far presente che la somma del risarcimento può essere anche simbolica. Ciò che davvero conta per loro sono le scuse ufficiali e scritte del governo giapponese, il riconoscimento per una maternità e una vita normale negate per sempre.
Pubblicato il 21/08/2020 da KoreanWorld.it
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