

In Beautiful Days il cinese d’origini coreane Zhenchen (Jang Dong-yoon) scopre dal padre (Oh Kwang-rok) che la madre (Lee Na-young) vive in Corea del Sud. Il ragazzo vola così dalla madre che non vede da 14 anni. Tuttavia realizza che questa si guadagna da vivere come intrattenitrice. Sconvolto pertanto dalla rabbia, Zhenchen torna in Cina. Ma prima che parta, la madre gli lascia un diario, rivelatore di un passato che giustifica scelte e abbandoni.

Titolo Originale
뷰티풀데이즈 (byu-ti-pul-de-i-jeu)
Genere
Drammatico
Regia e Sceneggiatura
Jero Yun
Interpreti
Lee Na-young, Jang Dong-yoon, Oh Kwang-rok, Lee Yoo-joon, Seo Hyun-woo, Kim Deok-joo, Park Chang-hee, Seol Woo-hyeong, Lee Moon-bin, Kwak Jin
Corea del Sud, 2018, 104′

Al suo primo lungometraggio di finzione dopo il documentario Mrs. B. A North Korean Woman e l’episodio Hitchhiker del progetto I Miss You, il regista Jero Yun continua con Beautiful Days a raccontare storie di disertori nordcoreani.
Tuttavia, non è l’esodo in sé o il motivo della partenza ad interessare al regista, ma piuttosto il calvario a cui vanno incontro individui che vivono sotto costante ricatto. Una volta arrivata in territorio cinese, la protagonista viene subito stuprata da chi l’ha fatta espatriare. In seguito viene venduta a un uomo che deve derubare. Infine deve lavorare come prostituta per il suo aguzzino, a meno che non preferisca ripagare il suo debito sacrificando il figlio.
Il regista affida a Zhenchen il punto d’osservazione di tali vicende, svelate mano a mano, tramite flashback scaturiti dalla lettura delle lettere dei propri genitori. La rivelazione è doppiamente amara, poiché Zhenchen non solo conosce il passato travagliato della madre, ma soprattutto se stesso. E quell’atteggiamento scontroso del protagonista, figlio di non si sa chi, palesa alla fine le origini genetiche che tanto la madre aveva scongiurato il figlio non manifestasse.
Ciò nonostante, la maturità raggiunta consente a Zhenchen di comprendere la madre e di pranzare con lei mangiando quella pietanza che in passato aveva rigettato.
Una trama simile per certi versi alla Donna che canta di Denis Villeneuve si staglia quindi nel contesto della diserzione.
Certo si accenna al motivo che spinge una donna a fuggire dal proprio paese, e cioè per guadagnare soldi da mandare alla propria famiglia. Ma ciò che interessa al regista è mostrare la logica di sfruttamento che permea le zone rurali della Cina.
E sotto le luci al neon anche la Corea del Sud mostra un certo senso di continuità con questa logica. Nonostante il personaggio di Lee Na-young sia finalmente libero di realizzarsi, continua a vivere in quel modo perché solo quello sa fare. E sebbene il suo uomo sia una brava persona, è pur sempre colui per il conto del quale continua ad intrattenere clienti.
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Pubblicato il 21/02/2021 da KoreanWorld.it
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