


In Escape From Mogadishu Han Sin-seong (Kim Yun-seok) è un diplomatico inviato nel 1987 in Somalia dal governo sudcoreano. Insediatosi a Mogadiscio come ambasciatore, Han, insieme al console Kang Dae-jin (Jo In-sung), ha il compito di ingraziarsi il presidente Somalo Barré per consentire alla Corea del Sud di entrare a far parte delle Nazioni Unite. Infatti a quei tempi la Corea del Sud non era ancora riconosciuta come membro dell’ONU, sebbene le Olimpiadi dell’88 ne avessero accresciuto il prestigio internazionale. Poiché i voti dei membri delle Nazioni Unite erano fondamentali per ottenere l’ammissione all’ONU, il singolo voto di un paese del continente africano, che deteneva il maggior numero di stati membri, risultava cruciale.
Tuttavia, anche la Corea del Nord ambiva allo stesso riconoscimento internazionale.
Ed avendo coltivato relazioni internazionali ben prima dei rivali del Sud, partiva da una posizione di vantaggio. Proprio quando tra il 1990 e il 1991 l’ambasciatore nordcoreano in Somalia Rim Yong-soo (Heo Joon-ho) e il suo console Tae Joon-gi (Koo Kyo-hwan) sembrano beffare i rivali del Sud nelle relazioni diplomatiche con Barré, scoppia la guerra civile a Mogadiscio.
Tutte le ambasciate vengono prese d’assalto da ribelli armati che accusano i diplomatici di essere collusi con il governo di Barré. Dae-jin riesce a convincere la polizia locale a difendere l’ambasciata sudcoreana. Mentre i nordcoreani sono costretti a fuggire e a chiedere asilo agli acerrimi nemici del Sud. Le due ambasciate coreane si troveranno così a dover cooperare, non senza reciproca diffidenza, per trovare una via di fuga che possa metterli in salvo.

Titolo Originale
모가디슈 (mo-ga-di-syu)
Regia
Ryoo Seung-wan
Sceneggiatura
Lee Gi-cheol, Ryoo Seung-wan
Interpreti
Kim Yun-seok, Jo In-sung, Heo Joon-ho, Koo Kyo-hwan, Kim So-jin, Jung Man-sik, Kim Jae-hwa, Park Kyung-hye, Park Myung-shin, Han Chul-woo, Joo Bo-bi, Ahn Se-ho, Enrico Ianniello
Corea del Sud, 2021, 121′

fresco vincitore ai Buil Film Awards, dove ha vinto i premi come Miglior Film, migliore sceneggiatura, migliore fotografia, migliori musiche e miglior attore non protagonsita (Heo Joon-ho), Escape From Mogadishu si è aggiudicato anche la candidatura coreana agli oscar come miglior film internazionale.
Il veterano Ryoo Seung-wan, maestro dell’action sudcoreano, dall’esordio con Die Bad (2000) fino al penultimo The Battleship Island (2016), torna a dirigere un film ambientato all’estero (The Berlin File del 2013), ma che racconta molto del proprio paese. A fuggire da Mogadiscio infatti è soprattutto il contesto socio-politico locale, che in effetti non viene approfondito. D’altronde i protagonisti non sono i civili somali, la polizia governativa o i ribelli, né tanto meno il presidente Barré, invisibile allo spettatore.
A rubare la scena è invece l’eterno scontro-incontro tra le due Coree, che sognano una riunificazione di là da venire e sempre più sconsolatamente utopica. Emblematiche, da questo punto vista, le scene in cui le madri nordcoreane coprono la vista ai loro pargoli, intenti ad osservare la controparte. Un gesto più che altro protettivo, poiché il minimo contatto con la fazione avversa può indurre il proprio governo a coltivare sospetti di spionaggio. Stesso discorso per Dae-jin, che organizza la finta diserzione degli ospiti nordcoreani per non violare la legge sulla sicurezza nazionale e pagarne poi le conseguenze.
Eppure la guerra civile interna dei coreani, ancor più evidente di quella esterna e meramente di contorno dei somali, è combattuta da simili che si riconoscono come tali.
Bastano lievi imbarazzi o cortesie durante un pasto condiviso a far cadere il velo della diffidenza e della discordia. E nonostante i due consoli se le diano di santa ragione, i due ambasciatori tessono le fila di una comunione d’intenti. Come dichiara Sin-seong, non cercano la riunificazione, ma una via d’uscita insieme. Dopotutto in cuor loro i due ambasciatori nutrono una profonda stima l’uno per l’altro. Ma, una volta raggiunta la salvezza, non possono nemmeno incrociare i loro sguardi, quasi a suggellare un destino divisivo da cui, qui sì, non si fugge.
Pubblicato il 16/10/2021 da KoreanWorld.it
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