

Seong-min, giovane rampollo e unico erede di una famiglia importante, si ammala gravemente. A nulla valgono le cure mediche, e ai genitori di Seong-min non resta che tentare la carta del soprannaturale, convocando sciamane provenienti da ogni parte del paese. I rituali sciamanici però non sortiscono alcun effetto, finché la giovane sciamana Ok-hwa scaccia un serpente con le proprie mani e convince la famiglia di essere l’unica in grado di salvare il figlio, posseduto da uno spirito accecato dal rancore.

Titolo Originale
피막 (Pimag)
Genere
Drammatico
Regia
Lee Doo-yong
Sceneggiatura
Yoon Sam-yook
Interpreti
Yu Ji-in, Nam Kung-won,
Hwang Jeong-sun, Choe Seong-ho,
Kim Yun-gyeong, Hyeon Kil-su,
Tae Il, Jeon Suk,
Corea del Sud, 1981, 96′
Altri film di Lee Doo-yong presenti su KoreanWorld:
Last Witness
Spinning the Tales of Cruelty Towards Women
The Oldest Son

The Hut di Lee Doo-yong è un thriller soprannaturale che anticipa il tema dell’oppressione sessuale femminile ad opera di una società confuciana e patriarcale restia ad evolversi, sviscerato in seguito nel suo capolavoro Spinning The Tales Of Cruelty Towards Women.
La protagonista, interpretata da un’enigmatica Yu Ji-in, non si sottrae alle prevaricazioni sessuali dei suoi aggressori. La sua ambiguità funge da diversivo narrativo, che prepara il campo alla triplice vendetta della mantide contro il maggiordomo Kim, lo zio ubriacone Gunsan, e il prozio. Pur sacrificando la sua sessualità, ella non subisce la lascivia del genere maschile, bensì la sfrutta a suo vantaggio, mostrando una consapevolezza di sé e dei propri mezzi che delineano una figura matura e non più vittima. Solo nel finale cederà a un’apparente debolezza, mostrando pietà di fronte al carnefice delle sue disgrazie e sottolineando quanto sia distante la misericordia femminile dalla spietatezza maschile.
Nella parte centrale del film, un lungo flashback ci mostra invece un’altra figura femminile, quella della nuora della famiglia, obbligata dal codice etico confuciano a rimanere casta dopo la morte del marito, al quale deve restare fedele per tutta la vita. Non potendo sfogare la sua sessualità, ella cerca di soffocare i suoi istinti repressi autoflagellandosi e infierendo sulle proprie carni. Malata e in fin di vita a causa delle infezioni dovute alle ferite autoinflitte, viene portata nel Rifugio del Villaggio affinché la sua anima possa raggiungere l’aldilà, ma l’Anziana della famiglia, mossa da uno spirito di sorellanza, le concede di giacere con l’umile custode del Rifugio, in modo da poter lasciare la vita sfogando la sua rabbia. Le cure del custode e la sessualità ritrovata, simboleggiate dal pestello che martella sul mortaio l’erba medicinale, guariscono la donna che, in un luogo di passaggio tra i due mondi qual è il Rifugio, concepisce una nuova vita. L’infrangere l’obbligo di astinenza imposto da una famiglia a cui era stato addirittura eretto dal Re un santuario sulla castità, induce il patriarca della famiglia non solo ad uccidere i due poveri amanti, ma a simulare per la donna un suicidio dovuto alla sua volontà di rimanere fedele al marito, ricongiungendosi con lui nell’aldilà.
Siamo all’alba di una nuova era, dice un Seong-min ripresosi dalla malattia, in cui le superstizioni vengono soppiantate dalla scienza, ma permangono valori arcaici e patriarcali che relegano la donna a una vita di patimenti.
Come thriller, il film confonde costantemente i due piani del mistero e dell’inganno, rendendo labile il confine tra le due verità. Per quanto possa essere considerato un difetto nella sceneggiatura, questo non sapere chiaramente dove finisce la pantomima e inizia il soprannaturale e viceversa, rende indubbiamente intrigante lo sviluppo narrativo.
Da sottolineare le buone intuizioni a livello di fotografia e regia che valsero a Lee Doo-yong l’I.S.D.A.P. (equivalente al premio speciale alla Regia) al Festival Internazionale del Cinema di Venezia del 1981.
Pubblicato il 20/09/2020 da KoreanWorld.it
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