


In My First Client, Jeong-yeob (Lee Dong-hwi) è un avvocato cinico e disoccupato che vive sulle spalle della famiglia della sorella. L’occasione per diventare indipendente gli si presenta quando viene assunto in un centro di assistenza all’infanzia. Il primo caso che segue è quello di Da-bin (Choi Myung-bin) e suo fratello Min-joon (Lee Joo-won) che vengono maltrattati dalla matrigna (Yoo Sun). I due bambini si affezionano all’avvocato, il quale però non può aiutarli. Innanzitutto perché come assistente sociale ha le mani legate. Secondo poi, riesce a trovare lavoro presso uno studio importante a Seul, dove si trasferisce. Abbandonati a loro stessi, Da-bin e Min-joon subiscono le angherie della matrigna, finché un giorno accade l’irreparabile e Jeon-yeob deve fare i conti con la propria coscienza.

Titolo Originale
어린 의뢰인 (eo-rin eui-roi-in)
Genere
Courtroom Drama
Regia
Jang Gyu-sung
Sceneggiatura
Min Kyung-eun
Interpreti:
Lee Dong-hwi, Yoo Sun, Choi Myung-bin, Lee Joo-won, Go Soo-hee, Seo Jung-yeon, Won Hyun-joon, Lee Na-ra, Jung Joon-won, Lee Hyun-kyun, Lee Ji-hoon, Lee Ro-woon, Lee Bom
Corea del Sud, 2018, 114′

Tratto da un storia vera, My First Client di Jang Gyu-sung è un legal drama sulla violenza a danno dei minori, e sull’indifferenza, sua nolente complice, ma altrettanto colpevole.
L’incipit mette subito le carte in tavola, in quanto l’omicidio di Kitty Genovese preannuncia il tema del film. Sono colpevoli i vicini che non sono accorsi in suo aiuto? La paura di essere coinvolti giustifica l’inerzia di fronte alla testimonianza di un abominio? Jeong-yeob risponde a queste domande con un cinismo tipico di chi antepone il diritto all’etica, e che gli garantirebbe un futuro promettente, se solo il senso di colpa per non essere intervenuto non risvegliasse la sua coscienza.
A non intervenire non è certo solo Jeong-yeob, ma tutto un sistema sociale che non funziona. A cominciare dai vicini, testimoni consapevoli ma incapaci di esprimere solidarietà a una bambina a cui invece rivolgono domande insensibili e inopportune. Per non parlare della maestra, che distratta, sorvola su dei lividi ben evidenti sul collo della bambina. Colpevoli sono anche le istituzioni. Dalla polizia agli assistenti sociali, nessuno può mettere in discussione la potestà genitoriale. In un paese in cui quattro volte su cinque le violenze sui minori (in costante aumento) si perpetrano soprattutto in famiglia, urge quindi una revisione in ambito legislativo.
A farne le spese sono i minori, e Jang Gyu-sung lo racconta in maniera efficace, descrivendo fino a dove si può spingere l’abuso, con l’ordine di una madre a una figlia di strangolare il fratello. Peccato che non si dimostri lucido, soprattutto nella scena del processo, indugiando in patetismi melodrammatici affidati a un Lee Dong-hwi che vanifica tutto ciò che di buono aveva offerto fino a qual momento.
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Pubblicato il 10/07/2021 da KoreanWorld.it
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