


In Road to Boston Sohn Kee-chung (Ha Jung-woo) vince la maratona alle Olimpiadi di Berlino del 1936, stabilendo un nuovo record olimpico. Durante la premiazione però, nasconde con una pianta la bandiera giapponese sulla sua uniforme, scatenando le ire del governo nipponico, che lo induce a ritirarsi dall’attività agonistica. Undici anni dopo, la Corea non è più una colonia giapponese, ma è governata dall’esercito degli Stati Uniti. In questo periodo di transizione verso l’indipendenza, la Korean Marathon Association si prefigge di partecipare alla Maratona delle Olimpiadi di Londra del 1948. Ma, per raggiungere tale obiettivo, deve prima ottenere risultati in competizioni internazionali. E così Nam Seung-ryong (Bae Sung-woo), arrivato terzo a Berlino, convince Kee-chung ad allenare il giovane talentuoso Suh Yun-bok (Im Si-wan), affinché quest’ultimo vinca la Maratona di Boston del 1947.

Titolo Originale
1947 보스톤 (bo-seu-ton 1947)
Genere
Sportivo
Regia
Kang Je-gyu
Sceneggiatura
Lee Sang-hyeon
Interpreti
Ha Jung-woo, Im Si-wan, Bae Sung-woo, Park Ki-ryoong, Kim Sang-ho, Jesse Marshall, Choi Kyu-hwan, Morgan Bradley, Seo Jung-yeon, Lee Kyu-bok, Song Young-chang, Oh Hee-joon
Corea del Sud, 2023, 108′

Ispirato a una storia vera, Road to Boston prende spunto da un episodio epico per celebrare, non senza vezzi melensi e patriottici, lo spirito d’indipendenza coreano.
Dopo Race to Freedom: Um Bok Dong, ecco un altro biopic sportivo sulla lotta per l’indipendenza coreana. Se il primo era ambientato durante la colonizzazione giapponese, il secondo si svolge nel pieno di un’altra occupazione, non meno problematica, ovvero quella degli Stati Uniti. Del film di Kim Yoo-seong poi, Road to Boston ha molto (anche troppo) in comune, a cominciare dal mestiere dell’eroe, in entrambi i casi un fattorino che gareggia per soldi.
Ma a differenza di Um Bok Dong, Sohn Kee-chung, per quanto sia un eroe nazionale, ha vinto un’Olimpiade sotto un nome (Kitae) e una bandiera giapponese. E a bruciare ancor di più é che il suo primato ottenuto a Berlino sia tutt’ora considerato dal Comitato olimpico internazionale un record nipponico.
Ad ogni modo, in Road to Boston, l’opportunità e al contempo l’ostacolo al riscatto è rappresentato dall’alleato americano.
Per quanto sia epico il finale di una maratona di Boston a dire il vero prevedibile e poco entusiasmante (solo un improbabile cane ad impedire la corsa del campione), l’impresa titanica è più che altro quella compiuta per accedervi alla suddetta gara. La vittoria di Kee-chung alle Olimpiadi di Berlino basterebbe da sola a far competere i suoi connazionali alle Olimpiadi di Londra. Ma Kee-chung ha vinto per il Giappone. Ed ora l’unico modo per parteciparvi è gareggiare a Boston. Ma per iscriversi devono trovare uno sponsor e un finanziamento. E dopo averli faticosamente trovati, si ritrovano ad indossare un’uniforme con sopra un’altra bandiera, quella degli Stati Uniti. Questo perché allora la Corea non era ancora riconosciuta internazionalmente, se non come un paese di rifugiati.
Tuttavia, nonostante l’ottusità e l’ignoranza occidentale (i giornalisti che non sanno distinguere un coreano da un cinese o da un giapponese), il buon vecchio Sam finisce ad ogni modo con l’accordare l’eccezione della bandiera coreana sulla maglia, preparando la strada al trionfo del nazionalismo coreano, adornato da una colonna sonora che strizza l’occhio a “Il Gladiatore” e da mozioni degli affetti patriottiche.
Pubblicato il 17/11/2023 da KoreanWorld.it
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