

In Somebody, Kim Seom (Kang Hae-lim) è un prodigio della programmazione con la sindrome di Asperger. Durante un’esposizione studentesca, Seom mostra Someone, un chatbot di sua creazione, in grado di fornire suggerimenti anche a coloro che faticano ad esprimersi. Samantha Jeong (Choi Yoo-ha) intuisce le potenzialità del prodotto di Seom e l’assume come CTO di Somebody, un’app di incontri basata sul linguaggio di programmazione di Someone.
Grazie a Somebody, gli utenti che ne fanno uso riescono a trovare anime gemelle compatibili, con cui instaurare rapporti duraturi e soddisfacenti. Tuttavia l’architetto Seong Yoon-oh (Kim Young-kwang) usa l’app per trovare prede da poter assassinare. Tra le potenziali vittime del serial killer vi è anche Yeong Gi-won (Kim Su-yeon), una poliziotta disabile amica di Seom. Intanto, la sciamana Im Mok-won (Kim Yong-ji), amica di Gi-won, cerca di scoprire l’identità del serial killer.

Titolo Originale
썸바디 (sseom-ba-di)
Regia
Jeong Ji-woo
Sceneggiatura
Han Ji-wan, Jeong Ji-woo
Interpreti
Kim Young-kwang, Kang Hae-lim, Kim Yong-ji, Kim Su-yeon, Lee Ki-chan, Choi Yoo-ha, Choi Sang-hyuk, Choo Sun-woo, Bae Gang-hee, Song Yeon-ji, Shin Mun-sung, Kim Na-yeon, Kang Ji-eun
Corea del Sud, 2022, 8 Episodi

Con Somebody, anche Jeong Ji-woo debutta nel format seriale, dirigendo un thriller affascinante e disturbante, seppur poco fluido e sensato nella narrazione.
Se non fosse infatti per un montaggio che non segue una consecutio lineare, per creare colpi di scena che in fin dei conti generano solo confusione, sarebbe in effetti un thriller impeccabile. Lo si nota soprattutto nel finale eccessivamente didascalico, che spiega tramite flashback la ricomparsa in video di alcune vittime e il destino di due personaggi secondari (la locandiera e il suo amante) ininfluenti.
Ma a destare perplessità è più che altro la (non) logica dietro i comportamenti dei personaggi. Se la protagonista è giustificata nel giocare con il fuoco, per via della sua condizione che non le consente di individuare i pericoli, poco comprensibili sono invece le decisioni prese da Gi-won e Yoon-oh, rispettivamente potenziale vittima e potenziale carnefice. La prima è come minimo imprudente nel voler incontrare da sola e indifesa un soggetto che sa essere pericoloso. Mentre quest’ultimo risparmia lei e l’amica (Mok-won), pur avendo motivazioni per eliminarle.
Ma è tutto il background di Yoon-oh a non quadrare, anche perché non esiste. Non è infatti dato sapere quali siano le ragioni di fondo che lo spingano ad uccidere. Gi-won accenna a una mancanza d’affetto materna, ma resta una sua supposizione. E il primo (fortuito) omicidio, seppur causa scatenante, non spiega il perché della reiterazione. Così come rimane un mistero la cicatrice che lo segna su tutta la schiena.
Di sicuro Somebody è un thriller seriale sulla solitudine, e su questo tema gioca ampiamente bene le sue carte.
Sono soli gli utenti di Somebody, in cerca di qualcuno con cui parlare, intendersi già solo dall’espressione, condividere le proprie debolezze, ed essere sessualmente compatibili. Lo sono Gi-won e Mok-won, libere e intraprendenti, ma ognuna con le proprie barriere relazionali, fisiche per la prima e professionali per la seconda. È certamente solo lo stesso Yoon-oh, che non può trovare qualcuna “fuori dagli schemi” come lui. E lo è anche Seom, la cui sindrome di Asperger non le consente di cogliere le emozioni altrui, come una ruota sdentata che non riesce a incastrarsi negli ingranaggi delle relazioni sociali.
Anche per ovviare a questo problema, Seom crea Someone, una creatura a sua immagine e somiglianza (già solo foneticamente). L’intelligenza artificiale del chatbot, che legge anche i messaggi cancellati prima di essere postati, riesce a far sentire i propri interlocutori meno soli e più compresi, senza però il filtro dell’emotività, che rende umani, ma non intrinsecamente razionali come la stessa Seom.
Non è un caso che, sia Someone che Seom, siano gli unici a spiazzare Yoon-oh, proprio per la loro vulnerabilità priva di paure.
Ma se contro il chatbot, Yoon-oh sfoga la propria rabbia poiché, nell’essere comprensivo, Someone lo fa sentire patetico, con Seom, Yoon-oh instaura un gioco d’attrazione che culmina nell’amore, nel momento in cui la ragazza corrisponde sinceramente i suoi stessi istinti omicidi. Tuttavia, come Someone, Seom reagisce con estrema razionalità, nell’apparente ambiguità di un comportamento contraddittorio. Apparente perché ama sinceramente Yoon-ho ma, o perché sia stata ingannata dal ragazzo, o perché semplicemente sappia distinguere il bene dal male, finisce per compiere una scelta emotivamente sofferta (seppur non lo dia a vedere), ma razionalmente necessaria.
Da sottolineare la carica erotica di alcune scene (tra cui la simulazione di un amplesso suonando l’organo), sempre funzionale al dramma di fondo e mai pruriginosa, che ha sempre contraddistinto il Miglior Cinema del regista, dall’esordio con Happy End a A Muse. Degna di menzione anche la colonna sonora, che oltre ad avere un tappeto sonoro originale, con atmosfere “hermanniane”, eco di thriller hitchcockiani, si pregia di capolavori suggestivi dello psich-folk anni 70, come Before It’s Too Late di Kim Choo-ja e If I Have to Forget di Kim Jung-mi.
Pubblicato il 23/11/2022 da KoreanWorld.it
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