








In The Point Men, una cellula di estremisti talebani sequestra un gruppo di missionari sudcoreani in Afghanistan. Conseguentemente, il ministero degli esteri sudcoreano invia il diplomatico Jae-ho (Hwang Jung-min) per negoziare con i terroristi il rilascio dei prigionieri. Tuttavia, Jae-ho non riesce a soddisfare le richieste dei talebani, non concesse dal governo afgano. Intervengono allora i servizi segreti, che chiedono al loro agente speciale Dae-sik (Hyun Bin) di trattare per vie traverse. Ma anche il suo tentativo fallisce, e intanto i primi ostaggi vengono uccisi.



Titolo Originale
교섭 (gyo-seob)
Regia
Yim Soon-rye
Sceneggiatura
Ahn Yeong-soo
Interpreti
Hwang Jung-min, Hyun Bin, Kang Ki-young, Lee Seung-chul, Jung Jae-sung, Park Hyoung-soo, Ahn Chang-hwan, Jeon Sung-woo, Seo Sang-won, Choi Jung-in, Shin Mun-sung, Fahim Fazli
Corea del Sud, 2020, 108′



Azione, riflessioni geopolitiche e un filo di retorica nazionalpopolare per The Point Men di Yim Soon-rye, tratto da una storia vera.
Il 19/09/2006, in Afghanistan, 23 civili sudcoreani furono rapiti in seguito a un agguato dei talebani. The Point Men ripercorre i giorni successivi all’evento, romanzando sui dettagli, ma fornendo un quadro ben preciso dei rapporti di forza in campo.
Al fine di liberare i 23 ostaggi, i terroristi pretendono che altrettanti talebani escano di prigione. Inoltre richiedono l’immediata evacuazione delle truppe sudcoreane, già in partenza per la fine dell’anno.
Tuttavia, il governo filostatunitense di Karzai si rifiuta di liberare 23 terroristi, anche dopo la proposta da parte di Jae-ho di un maggior invio di soldati in Afghanistan. Ai diplomatici sudcoreani non resta che far ritornare a casa il proprio contingente. Ma resta il problema dello scambio di prigionieri, a cui si tenta di ovviare proponendo il pagamento di un riscatto. Quest’ultimo però è osteggiato sia dai talebani, che rimangono fermi sulle loro posizioni, sia dal governo sudcoreano, restio a contrabbandare la propria reputazione di Stato che non si arrende ai terroristi, con la salvezza di poche anime.
Nel rendere più articolata la trama, Ahn Yeong-soo introduce poi due sottotrame per lo più accessorie.
La trattativa infruttuosa con la Jirga allunga il brodo con un pretesto debole. Dopotutto che differenza fa se i prigionieri sono volontari o missionari? Mentre il negoziato con l’intermediario inglese ha solo il merito di rappresentare la più bella, ma anche unica, scena d’azione in tutto il film.
Ciò che desta interesse, ad ogni modo, è il riferimento alla sudditanza del governo sudcoreano nei confronti di quello americano, suggerita da Jae-ho, nel momento in cui il capo dei talebani lo invita a chiedere agli statunitensi lo stop dei bombardamenti, facendosi forza del suo status di rappresentante di un “Grande Paese”. La sua risposta è lapidaria: “Il vostro problema più grande è che ci sopravvalutate.” Come per far intendere che le uniche opzioni valide sono quelle dettate dagli Stati Uniti, e se questi ultimi non vogliono liberare terroristi, non si liberano terroristi.
Fa storcere il naso invece l’immancabile presa di coscienza che conduce al supremo atto di sacrificio patriottico. Mentre è in una stanza d’albergo, Jae-ho ascolta il marito di un ostaggio parlare in TV e, commosso, chiede allora al governo di poter negoziare direttamente con i talebani. Al diniego del Ministro degli Esteri risponde però la telefonata del Presidente che, come una divinità provvidenziale, investe il diplomatico del ruolo di salvatore.
Poco sfruttata poi la possibile alchimia tra Hwang Jung-min e Hyun Bin, potenzialmente protagonisti di un buddy movie, ma in realtà sempre disuniti, l’uno che ritorna (al suo lavoro), l’altro che resta.
Pubblicato il 27/02/2023 da KoreanWorld.it
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.