

In The Woman Who Ran Gam-hee (Kim Min-hee) fa visita a due amiche mentre suo marito è in viaggio per lavoro. La prima ad accoglierla è Yeong-soon (Seo-Young-hwa), che ha comprato un nuovo appartamento dopo aver divorziato dal marito. Successivamente si reca a far visita a Soo-yeong (Song Seon-mi), un’insegnante di Pilates appena trasferitasi in un appartamento dall’affitto conveniente e che viene tampinata da un giovane poeta. Infine si dirige presso una sala cinematografica dove il suo ex (Kwon Hae-hyo) sta tenendo una conferenza. Ma ad incontrarla è Woo-jin (Kim Sae-byuk), la donna che ai tempi dell’Università le soffiò l’uomo e lo sposò.

Titolo Originale
도망친 여자 (do-mang-chan yeo-ja)
Genere
Drammatico
Regia e Sceneggiatura
Hong Sang-soo
Interpreti
Kim Min-hee, Seo-Young-hwa, Song Seon-mi, Kim Sae-byuk, Kwon Hae-hyo, Shin Suk-ho, Ha Seong-gook, Darcy Paquet, Kang I-seo, Jo So-yeon
Corea del Sud, 2019, 77′

Dopo quasi due (insoliti) anni di pausa, il prolifico Hong Sang-soo torna a dirigere la sua musa e compagna Kim Min-hee nella sua ventiquattresima opera.
Presentato per la prima volta al Festival Di Berlino, che ha omaggiato l’autore con l’Orso d’Argento alla Regia, The Woman Who Ran segna una fase interlocutoria del suo Cinema. Pur essendo formalmente sempre uguale a sé stesso, e il regista lo ammette giocando autoironicamente sul concetto dell’insincerità del ripetersi, questa volta si nota una certa rilassatezza nell’approccio alla materia filmica e al soggetto.
Innanzitutto è un film tutto al femminile, dove l’elemento maschile è relegato ad individui oggetti di scherno e ripresi di spalle. In questo contesto, una bottiglia di vino o di Makgeolli può servire solo ad accompagnare un pasto tra chiacchiere argute, di convenienza o ipocrite (il finto animalismo). Siamo ben lontani dunque dalle confessioni alcoliche, elemento quasi imprescindibile del suo cinema. Tra donne basta sfiorarsi la mano e guardarsi negli occhi lucidi, per donare e ricevere un po’ di verità. E si può sempre brindare sbucciando una mela, piuttosto che stappando bottiglie di soju.
C’è poi da considerare che il film è quasi interamente ambientato in appartamenti ermeticamente chiusi agli uomini, ripresi da videocitofoni o telecamere di videosorveglianza. Mentre in esterno vi è il paesaggio bucolico di un aia in cui un gallo becca le galline (ritorna l’elemento maschile di disturbo). E a dominare placidamente all’orizzonte vi sono tre montagne.
La donna che scappa non è certo Yeong-soon, che divorzia per trovare un suo equilibrio, o Soo-yeong, libera di godersi la sua vita da single in cerca di avventure disimpegnate, e nemmeno Woo-jin, assuefatta a un rapporto dove per sua stessa ammissione vive un complesso di inferiorità.
A scappare invero è proprio Gam-hee.
È lei che rifugge da una conversazione in cui viene colta sul vivo. Ed è sempre lei a ripetere agli altri e a sé stessa (di nuovo il ripetersi insincero) che lei e il marito si amano perché stanno sempre insieme, quasi a voler ammantare di sincerità un dubbio che la pervade e che la porta ad incontrare la sua vecchia fiamma.
Un’ultima considerazione da fare è sul clamore che ha suscitato e continua a suscitare una pellicola tutto sommato poco rilevante che, sicuramente, rispetto al resto della filmografia del regista, gode di una visibilità più ampia. E così anche Hong Sang-soo, come Kim Ki-duk e Bong Joon-ho prima di lui, raccoglie sulla lunga distanza i frutti di una carriera costruita a suon di (quelli sì) capolavori passati quasi inosservati.
Pubblicato il 06/12/2020 da KoreanWorld.it
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