

In Don’t Go Too Far, tre fratelli e una sorella si riuniscono a casa del fratello maggiore per ascoltare dal notaio la lettura del testamento del padre moribondo. Quest’ultimo dispone che la maggior parte del proprio patrimonio vada al primogenito, e il resto venga suddiviso in parti uguali tra gli altri figli. Inoltre una quota minore la dona alla chiesa di cui fa parte. Tuttavia, ognuno dei figli è insoddisfatto della quota ricevuta. Improvvisamente però, un sequestratore telefona al fratello maggiore, informandolo di avergli rapito il figlio. Il riscatto richiesto dal rapitore è di 2 miliardi di won, lo stesso ammontare del lascito testamentario del padre. Sebbene in gioco ci sia la vita di un membro della famiglia, non tutti si manifestano disponibili a sacrificare la propria quota di eredità.

Titolo Originale
멀리가지마라 (meol-li-ga-ji-ma-ra)
Genere
Black Comedy
Regia e Sceneggiatura
Park Hyun-yong
Interpreti
Son Byung-ho, Son Jin-hwan, Park Myung-shin, Lee Kyung-sung, Choi Jae-sup, Yoon Eun-byul, Lee Seon-hee, Lee Do-yeop, Ji Dae-han, Kang Tae-young, Jang Sung-ik
Corea del Sud, 2018, 75′

Don’t Go Too Far è una commedia nera che si sviluppa cinicamente tra una messa in scena teatrale e un inseguimento da film d’azione.
Le luci soffuse e lo sfondo nero rendono quasi indistinguibili le pareti dell’abitazione in cui si svolgono veri e propri atti di un’opera teatrale. Ciò risulta ancora più evidente dalla scenografia open space che annulla le barriere visive tra una stanza e l’altra. Grazie a questa scelta, il regista ha modo di concentrare tutta l’attenzione sui personaggi, sviscerandone egoismi e contraddizioni. Mentre gli esterni e il flashback donano rispettivamente dinamicità all’azione (l’inseguimento) e alla narrazione (il colpo di scena).
“Non andate troppo lontano”, dice ai bambini un già da subito ambiguo Jeong Heon-cheol (Son Byung-ho), per il quale quello che sembra un pianto per l’attesa morte del padre, si rivela allo specchio un ghigno beffardo. Ma il titolo del film è anche un ammonimento per ognuno dei personaggi a non spingersi troppo oltre la miseria umana di cui sono esempi.
Nessuno di loro è uno stinco di santo, come la stessa Yeong-eun (Park Myung-shin) ricorda a Heon-gyoo (Choi Jae-sup). Quest’ultimo è la voce della ragione che riporta il buonsenso all’interno di una discussione intossicata dagli interessi particolari di ciascuno. Tuttavia, egli è anche il marito manesco di una moglie tradita. I suoi interventi, atti a proteggere la progenie della famiglia, si scontrano con quelli di Eun-hye (Lee Seon-hee), la sorella minore aizzata dal marito (Kang Tae-young).
Per quanto sia giustificato il loro bisogno di soldi, non provano vergogna a dare priorità ai loro interessi, rispetto al pericolo di perdere un loro nipote.
Tale atteggiamento risulta ancor più odioso in Heon-goo (Son Jin-hwan) e consorte, poiché rende esplicite le loro contraddizioni. All’inizio sono allarmati per il rapimento della loro figlia, e si aspettano la solidarietà dei familiari. Successivamente, non appena scoprono che ad essere rapito è stato il loro nipote, adducono scuse sulle difficoltà economiche in cui versa la loro azienda, che giustificherebbero il sacrificio di un membro per l’integrità di tutta la famiglia.
Anche il notaio non si sottrae alla meschinità. Fa la predica ai figli del defunto, per poi pretendere una quota, per quanto piccola, per i suoi illeciti servigi, e togliendola a una donazione a una chiesa, per giunta.
Alla fine concordano tutti per la salvezza della nipote, seppur ironicamente Eun-hye tenga a salvaguardare prima di tutto la sua porzione d’eredità, motivo per il quale chiama la polizia.
Ad ogni modo, il più spregevole di tutti è chi sfrutta la giusta priorità di una figlia in pericolo per una gretta avidità che non risparmi la famiglia a cui dovrebbe essere garantita ogni priorità. Ci penserà poi il fato, nel modo più cinico e sarcastico possibile, a ristabilire i giusti equilibri dopo essersi spinti troppo oltre.
Pubblicato il 09/01/2022 da KoreanWorld.it
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