


In Fanfare, durante la notte di Halloween, una misteriosa donna di nome Je-i (Im Hwa-young) entra in un bar in attesa di portare a termine l’omicidio che le è stato commissionato. Infatti la donna, scambiata per una prostituta, è in realtà un freddo sicario. Il proprietario del locale (Kim Gi-jung), travestito da Dracula, cerca di sedurre la donna ricevendo come risposta un secco rifiuto. Sebbene il locale venga chiuso dal proprietario, due fratelli, con la scusa di una richiesta di soccorso, riescono ad entrare grazie a Je-i. Ma appena entrati, tramortiscono la donna per compiere una rapina, e il fratello minore, Hee-tae (Park Jong-hwan), uccide il proprietario. Al fine di liberarsi del corpo, il fratello maggiore Kang-tae (Nam Yeon-woo), tramite offerte e minacce, chiede l’aiuto di Sen (Lee Seung-won), che a sua volta contatta Baek-goo (Park Se-jun), un professionista nello smembramento di cadaveri.

Titolo Originale
팡파레 (pang-pa-re)
Genere
Thriller, Black Comedy
Regia e Sceneggiatura
Lee Don-ku
Interpreti
Im Hwa-young, Park Jong-hwan, Nam Yeon-woo, Lee Seung-won, Park Se-jun, Kim Gi-jung, Han Myeong-soo
Corea del Sud, 2019, 88′

Fanfare, terza prova del regista Lee Don-ku dopo Fatal e Entangled, è un crime movie pulp e claustrofobico di chiara influenza tarantiniana.
Girato per la gran parte in un unico locale, Fanfare presenta una serie di personaggi vili e meschini che cercano di approfittarsi l’uno dell’altro, fidandosi solo di sé stessi. A cominciare dal proprietario del bar, il cui travestimento da vampiro esalta la sua natura di predatore. A seguire ci sono i due fratellastri, tanto avventato l’uno, quanto pusillanime l’altro. Interviene poi il corpulento Sen, disposto a fidarsi di chi non si fida pur di fregarlo. E infine Baek-goo, il “Signor Wolf” che invece di risolvere problemi, li scatena.
Ma ognuno di loro non ha fatto i conti con Je-i, che a differenza di quello che si aspettano, non è una vittima indifesa o un altro soggetto di cui approfittarsi. Al contrario è talmente lucida e sicura di sé che anzi, sfrutta le debolezze atavicamente attribuite al suo genere (il pianto), per salvarsi la pelle. Inoltre sa quando mentire per scatenare il caos, e irride le forze dell’ordine quasi a sancire una posizione di osservatrice esterna e imperturbabile. È talmente indifferente e invulnerabile da permettersi addirittura di ridere in faccia a chi stia tentando di stuprarla. Non appena ha in mano il suo “strumento di lavoro”, è libera di manovrare i fili che, a dir la verità, dà l’impressione di avere in mano fin dall’inizio.
L’influenza tarantiniana non è certo riscontrabile nella struttura temporale, assolutamente lineare. Ma piuttosto in un ironico pulp, fatto di ambienti sudici e ristretti, luci soffuse, colori lividi e gore in tutte le salse, che raggiunge il climax in un finale in cui un brano dal sapore anni 80 accompagna una carneficina divertita da parte di una protagonista che ha perso una giornata di lavoro ma almeno ha vinto la noia.
Pubblicato il 04/12/2020 da KoreanWorld.it
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