


In Homme Fatale, Heo Saek (Lee Junho) è un orfano allevato dalle kisaeng (intrattenitrici) in un gibang (luogo di lavoro e abitazione delle kisaeng). Sebbene sua zia Nan-seol (Ye Ji-won) lo vorrebbe dedito allo studio, Heo Saek passa il tempo ad affinare la sua arte di corteggiatore. Intanto, le vedove del villaggio, costrette a votarsi alla castità, si camuffano da uomini per potersi svagare nel gibang. Heo Saek, di conseguenza, propone alla zia di diventare egli stesso kisaeng, in modo da risollevare le sorti economiche del gibang, intrattenendo clienti donne. Nel frattempo Heo Saek, colpito dalla bellezza di Lady Hae-won (Jung So-min), tenta di sedurla. Ma a puntare gli occhi sulla ragazza c’è anche l’aristocratico Yoo-sang (Gong Myung), intenzionato a sposarla ad ogni costo.

Titolo Originale
기방도령 (gi-bang-do-ryeong)
Genere
Commedia, Melodramma, Costume
Regia e Sceneggiatura
Nam Dae-joong
Interpreti
Lee Junho, Jung So-min, Choi Gwi-hwa, Ye Ji-won, Gong Myung, Go Na-hee, Jeon No-min, Lee Il-hwa, Shin Eun-soo, Cho Yi-hyun, Bae Jung-hwa, Kang Seung-hyun, Ha Ji-eun, Kim Dong-young
Corea del Sud, 2019, 110′

Homme Fatale è una commedia melodrammatica in costume, che attraverso l’iperbole del gigolò in epoca Joseon, racconta le storture di una società patriarcale e classista come quella confuciana, i cui echi risuonano ancora oggi.
Già In The Last Ride, Nam Dae-joong aveva dimostrato di affrontare un tema delicato come quello della SLA con una leggerezza catartica. E anche in Homme Fatale il registro usato dal regista è prettamente quello della commedia.
Tuttavia, il tema delle vedove che si travestono da uomini per ubriacarsi, nasconde una triste realtà. Come Chunyang, anche alle vedove, in epoca Joseon, veniva consegnato un pugnale d’argento simbolo di fedeltà, ma almeno Chunyang aveva un marito da aspettare. Alle vedove invece era richiesto di mantenere la castità per tutta la vita, al fine di rimanere fedeli ai propri defunti mariti fino alla morte. Tale tortura sugli impulsi sessuali femminili è oltretutto descritta ampiamente dal regista Lee Doo-yong nel suo The Hut.
Inoltre, giovani fanciulle di umili origini venivano vendute come concubine, più che unite in matrimonio, per il semplice trastullo degli aristocratici. E la stessa protagonista è destinata al sacrificio, sia verso un fratello a cui paga studi che non può permettersi, sia verso un benefattore che chiede in cambio la sua mano.
Solo un uomo che si mette nei panni di una Kisaeng può comprendere il punto di vista femminile. E Heo Saek conquista le sue clienti semplicemente ascoltando i loro sfoghi. Non è un caso che sia proprio lui a bruciare il monumento simbolo di una prigione che fa appassire le donne tramite le pastoie della castità, e che le obbliga a sottomettersi all’imperativo della fedeltà.
A ciò si aggiunge il profondo classismo che colpisce entrambi i sessi.
Così come una Kisaeng non può essere considerata virtuosa, così infatti un individuo di umili origini come Heo Saek non può sostenere l’esame di stato, riservato esclusivamente agli aristocratici.
A livello narrativo il film si divide in due parti. Nella prima prevale la linea comica, affidata tanto al protagonista, quanto al suo sodale Yook-gap (Choi Gwi-hwa). Mentre verso l’epilogo dirompe il melodramma, che seppur dignitoso, lascia l’amaro in bocca per un ostacolo autoimposto.
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Pubblicato il 23/05/2021 da KoreanWorld.it
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