


In Miracle: Letters to the President, Park Jung-min è Joon-kyeong, un genio della matematica di 17 anni. Insieme alla sorella Bo-kyeong (Lee Soo-kyung) vive in un villaggio sperduto che non ha una stazione ferroviaria. L’unico modo per entrare e uscire dal paese è attraversare a piedi i binari, con il rischio di essere investiti dai treni. Intenzionato a porvi rimedio, Joon-kyeong scrive continuamente lettere al Presidente, chiedendogli di far costruire una stazione ferroviaria nel suo villaggio. Purtroppo le sue lettere non ricevono risposta. Tuttavia Ra-hee (Yoona), una compagna di classe invaghita del ragazzo, l’aiuta a far sì che possa incontrare il Presidente e costruire la stazione. Mentre Tae-yoon (Lee Sung-min), il padre di Joon-kyeong, non pare condividere i propositi del figlio, con il quale non ha un buon rapporto.

Titolo Originale
기적 (gi-jeok)
Genere
Drammatico, Fantasy
Regia e Sceneggiatura
Lee Jang-hoon
Interpreti
Park Jung-min, Lee Sung-min, Yoona, Lee Soo-kyung, Kim Kang-hoon, Jung Moon-sung, Kim Dong-hyeon-III, Ko Chang-seok, Lee Dong-yong, Yoo Soon-woong, Kim Ja-young, Song Jae-ryong
Corea del Sud, 2020, 117′

Dopo il remake del giapponese Be With You, il regista Lee Jang-hoon torna con Miracle: Letters to the President, un nuovo dramma familiare dalle suggestioni fantasy, stavolta tratto da una storia autoctona.
A differenza del suo film d’esordio, che si basava comunque su una sceneggiatura già sapientemente elaborata, con Miracle: Letters to the President, Lee Jang-hoon trae ispirazione da una storia vera accaduta nel 1986, riuscendo bene nello sfumare i confini tra il fantasy e l’immaginazione, ma peccando in una scrittura prevedibile che non sa gestire la sorpresa.
Per quanto riguarda il colpo di scena relativo a Tae-yoon, questo risulta messo a punto discretamente. Anche perché, per tutta la prima metà del film, il suo personaggio è quasi assente, lasciando trasparire solo un atteggiamento di chiusura verso il figlio, la cui motivazione viene ben esplicitata verso la fine.
Tutt’altro discorso per l’elemento chiave del racconto, che coinvolge la sorella del protagonista. Fin dai primi fotogrammi infatti, è chiaro il destino di Bo-kyeong. E gli accorgimenti per rendere credibile l’agnizione finale (l’eterna giovinezza della ragazza), non fanno altro che anticipare una rivelazione affatto scioccante. L’indugiare su una fotografia nelle scene finali poi, ha un che di pleonastico, se Joon-kyeong, all’inizio del film, posa davanti al fotografo in modo da destare subito sospetti.
All’assenza del padre nella prima parte del film, fa da contraltare la presenza di Ra-hee, che il regista eclissa poi nella seconda parte per dare più spazio a Tae-yoon. Ma solo per tale motivo, poiché il personaggio interpretato da Yoona, a differenza di quello interpretato da Lee Sung-min, finisce per avere un ruolo piuttosto marginale nell’economia della storia. Curioso inoltre il suo interessamento per un “nerd” restio a riceverlo, affatto carismatico e imbranato nel rispetto di convenzioni e consuetudini.
Ciò che il regista sa invece ben orchestrare, non senza ricorso ai soliti toni melodrammatici, è il confronto sugli stessi sensi di colpa tra padre e figlio.
Entrambi infatti si sentono colpevoli d’aver causato la scomparsa di scena delle figure femminili della loro famiglia. Di conseguenza evitano di guardarsi persino negli occhi, non perché provino risentimento l’uno verso l’altro, ma perché si vergognano di loro stessi. Solo il dialogo sincero tra i due protagonisti potrà liberarli dal senso di colpa e consentire a Joon-kyeong di accomiatarsi dalla sorella per vivere la propria vita.
Pubblicato il 08/11/2021 da KoreanWorld.it
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.