


Il funzionario pubblico Yu Wooseong, disertore nordcoreano, è sotto processo per spionaggio dopo la confessione della sorella minore. Il giornalista e regista Choi Seungho indaga sulle motivazioni che hanno spinto la sorella ad accusare il fratello, scoprendo come la Sicurezza Nazionale (NIS) monti ad arte accuse di spionaggio rovinando la vita a persone innocenti.

Titolo Originale
자백 (Ja-baek)
Genere
Documentario
Regia
Choi Seungho
Sceneggiatura
Jeong Jae-hong
Interpreti
Choi Seungho
Corea del Sud, 2016, 106′

Vincitore del premio per il miglior documentario al Jeonju International Film Festival 2016, il documentario Spy Nation scopre come il Servizio di Intelligence Nazionale della Corea (NIS) formuli accuse di spionaggio contro i disertori nordcoreani e li incastri falsificando documenti incriminanti, partendo dalla storia di Yoo Woo-seong, che è stato accusato di spiare per la Corea del Nord nel 2014. Yoo Woo-seong emigrò dalla Cina alla Corea del Sud nel 2004. Si dichiarò disertore nordcoreano nonostante le sue origini cinesi, stabilendosi a Seul dove divenne funzionario pubblico. Ma quando la sorella Yoo Ga-ryeo cercò di raggiungerlo, agenti del NIS misero in dubbio la sua nazionalità cinese, la portarono al centro interrogatori del NIS e la tennero per sei mesi rinchiusa in isolamento sottoponendola a torture fisiche e psicologiche, fino al punto da indurla a confessare che era stata ingaggiata dal servizio di spionaggio della Corea del Nord per fornire al nemico le informazioni raccolte da suo fratello sui disertori nordcoreani. Inoltre il procuratore che durante il processo al fratello avrebbe dovuto esaminare la credibilità delle indagini del NIS, cercò di impedire a Yoo Ga-ryeo di ritrattare la sua confessione dietro la vana promessa che sarebbe stata in grado di vivere con suo fratello in Corea del Sud solo nel caso avesse ammesso di essere una spia nordcoreana. Al funzionario pubblico di Seul hanno: falsificato prove, sostenendo che foto scattate in Cina fossero state in realtà scattate in Corea del Nord; falsificato i documenti di entrata e uscita dal paese; e presentato falsi testimoni corrompendoli. Il caso di Yoo Woo-seong è emblematico nel raccontare quanto il clima di perenne guerra fredda possa sconvolgere la vita di gente comune. Lui e la sorella minore, nativi di Horyeong, si trasferirono dalla Corea del Nord in Cina dopo che la madre morì d’infarto in seguito a una telefonata con il figlio che destò sospetti nei servizi segreti nordcoreani che la intercettarono. Il trasferimento di Yoo Woo-seong in Corea del Sud aggiunse al danno la beffa, poiché lui che più di ogni altro aveva motivo per dichiararsi disertore, dovette subire le conseguenze derivanti dall’accusa del NIS di essere una spia del Nord.
Choi Seungho, giornalista d’inchiesta indipendente, indaga sulle ataviche storture nella lotta del governo all’anticomunismo, anche con provocazioni giustificate per quanto discutibili (il tampinare il capo del NIS Won Sei-hoon chiedendogli di scusarsi con le vittime della sua caccia alle streghe), tramite interviste ai protagonisti, analisi delle fonti e ricerche sul campo che smontano l’impalcatura di menzogne costruita dal NIS. Quello di Yoo Woo-seong è solo l’ultimo dei tanti casi in cui dal 1958 l’Agenzia per La Sicurezza Nazionale, trincerata dietro la sua roccaforte d’omertà, monta ad arte accuse di spionaggio con la complicità di media e procure della Repubblica.
Come Han jun-sik, che nell’inverno del 2011 morì al centro interrogatori del NIS. Mantennero il silenzio per 2 settimane, finché un giornalista venne a sapere dell’incidente e al NIS furono costretti a far trapelare la notizia in conformità al loro modus operandi, dichiarando che una spia della Corea del Nord che faceva finta di essere un disertore si fosse suicidato subito dopo aver confessato di essere una spia. O come Hong Kang-cheol che una volta prosciolto dalla accuse infondate dichiara: “Se intendete portare i disertori in tribunale e accusarli di essere spie, perché vi scomodate a incoraggiarli a venire nel sud?”
Anche Lee Cheol venne perseguitato nel 1975 da Kim Ki-choon, allora direttore del KCIA sotto il regime di Park Chung-hee e ora capo dello staff del Presidente Park Geun-hye (figlia di Park Chung-hee), e solo recentemente è stato prosciolto dalle accuse di spionaggio, mentre altri portano ancora oggi i segni delle torture fisiche e psicologiche che hanno dovuto subire.
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Pubblicato il 15/06/2020 da KoreanWorld.it
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