


Il film di Lee Joon-ik è basato sulla prefazione del trattato The Book Of Fish di Chung Yak-jeon e racconta di quando, nel 1801, Jeon-sun, regina vedova del Re Jeong-jo (Jung Jin-young) condanna all’esilio i fratelli Chung. Invisi alla corte poiché cattolici e studiosi della cultura occidentale che corrompe i valori confuciani, due di loro vengono relegati in zone sperdute del regno. Il maggiore di essi, Yak-jeon, sconta la sua pena nell’Isola della Montagna Nera. Tuttavia, a dispetto della soggezione suscitata dal nome, l’isola si dimostra accogliente e fonte di ispirazione per il nobile studioso. Soprattutto la conoscenza del pescatore Changdae (Byun Yo-han) gli infonde interesse per le creature del mare. E siccome Changdae intende studiare per riscattarsi socialmente, Yak-jeon propone al pescatore di impartirgli lezioni sulla dottrina confuciana. In cambio, chiede al ragazzo di trasmettergli le sue conoscenze sulla fauna marina.

Titolo Originale
자산어보 (ja-san-eo-bo)
Genere
Drammatico, Storico
Regia
Lee Joon-ik
Sceneggiatura
Kim Se-gyeom
Interpreti:
Sol Kyung-gu, Byun Yo-han, Lee Jung-eun, Min Dohee, Cha Soon-bae, Kang Ki-young, Kim Jung-pal, Kim Jun-han, Lee Yeong-seok, Kang Seong-hae, Choi Hong-il, Jo Ha-suk, Jung Jin-young
Corea del Sud, 2019, 126′

The Book Of Fish mette in scena tramite il biopic storico, il conflitto perennemente attuale tra conservatorismo e progressismo
Più specificatamente il dualismo è tra nazionalismo e esterofilia, monarchia e democrazia, classismo ed eguaglianza, dottrina confuciana e cattolicesimo. Tuttavia la dicotomia tra queste ideologie è lungi dall’essere manichea. Infatti non sono i valori locali ad essere messi in discussione. Tanto più che lo stesso Yak-jeon è riconoscente verso insegnamenti che gli hanno fatto conoscere matematica e geometria. Sì, perché una dottrina è valida fintanto che contribuisce ad apportare conoscenza. Ed essa non è una monade impermeabile alle influenze esterne, con le quali invece deve dialogare per arricchire l’uomo, che è il vero soggetto a cui è destinato il sapere.
L’autocrazia finisce però per nazionalizzare la dottrina e irreggimentarla in codici di comportamento fini a sé stessi. Changdae impara così a sue spese che se Confucio stabilisce che così come i contadini coltivano la terra, il governo coltiva il popolo, in realtà così come i contadini arano la terra, così il governo ara il popolo con tasse ingiuste, distorcendo i dettami dottrinali.
Solo la presa di coscienza che è il sapere a servire l’uomo, e non il contrario, riesce a donare nuova linfa vitale a Yak-jeon e a far rinsavire Changdae, che ritorna alla sua montagna dopo aver compreso di stare barattando la dignità morale professata dai suoi studi con il successo.
Dopo DongJu, The Portrait of A Poet, Lee Joon-ik torna, con The Book Of Fish, al bianco e nero agiografico che esalti una figura storica del patrimonio culturale coreano.
Ma mentre nel primo, Shin Yeon-shick interveniva con la sua sceneggiatura a infondere misura e compostezza alla regia, nel secondo, il regista di The King and The Clown propone sempre il suo cinema di facile presa sul pubblico, con una decolorazione che non toglie colore (se non in senso prettamente cromatico) e non aggiunge nulla di personale.
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Pubblicato il 08/05/2022 da KoreanWorld.it
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