

Pachinko racconta la storia intergenerazionale di una famiglia coreana emigrata in Giappone. Protagonista assoluta è Sun-ja (Jeon Yu-na), nata quasi per miracolo durante l’occupazione giapponese della Corea. Una volta cresciuta, Sun-ja (Kim Min-ha), sebbene analfabeta, si dimostra intelligente, scaltra e non disposta a piegarsi al colonizzatore straniero. In tal modo attira l’attenzione di Han-su (Lee Min-ho), un uomo d’affari coreano che ha fatto le sue fortune in Giappone. Intanto, nel 1989, Sun- ja (Youn Yuh-jung) vive ad Osaka. Suo figlio Mozasu (Soji Arai) possiede una sala di pachinko. Mentre il nipote Solomon (Jin Ha) torna dagli Stati Uniti per concludere un affare che potrebbe dare una svolta alla propria carriera.

Titolo Originale
파친코 (pa-chin-ko)
Genere
Drammatico, Serie TV
Regia
Justin Chon, Kogonada
Sceneggiatura
Soo Hugh
Interpreti
Youn Yuh-jung, Lee Min-ho, Kim Min-ha, Jin Ha, Soji Arai, Jeong In-ji, Anna Sawai, Jung Eun-chae, Steve Noh, Jimmi Simpson, Jung Woong-in, Han Joon-woo, Jeon Yu-na, Mari Yamamoto
Corea del Sud, USA, Canada, 2022, 8 episodi

Tratta dal romanzo di Min Jin Lee, Pachinko è una serie sull’odissea dei coreani emigrati in Giappone, vittime di razzismo e soprusi, ieri come oggi.
Dalla colonizzazione nel 1910 infatti, la penisola coreana diventa una provincia dell’impero del Sol Levante. Sebbene la propaganda nipponica tenda ad assimilare l’etnia coreana, quest’ultima viene semplicemente sfruttata senza che possa coltivare speranze di riscatto. Lo era in passato, quando il riso dei coreani doveva sfamare i soli giapponesi. O quando migliaia di coreani emigravano in Giappone per morire nelle miniere di carbone e vivere in condizioni disumane. E lo è tanto più negli anno 80, quando Solomon (Jin Ha) è costretto a emigrare in America per aver “rubato” un pacchetto di caramelle. O quando sempre Solomon deve subire l’ostracismo dei dirigenti nipponici per cui lavora, che non si fidano del ragazzo per via delle sue origini.
Come dice il datore di lavoro di Yoseb (Han Joon-woo), i coreani ce l’hanno nel sangue l’antipatriottismo verso il Giappone, a dimostrazione di quanto il pregiudizio fosse (e sia) radicato nella società giapponese. Pregiudizio che si tramuta addirittura in linciaggio dopo il grande terremoto del Kanto del 1923.
Sia per Solomon che per Hansu (Lee Min-ho), emigrare negli Stati Uniti è l’opportunità di affrancarsi da un destino da pària in Giappone. Ma entrambi sono costretti a vivere da apolidi a Osaka, e possono far carriera solo accordandosi con la malavita locale, considerata reietta come loro. Per quanto Solomon si ostini a voler essere uno di loro, i giapponesi non lo faranno mai essere o sentirsi tale.
Quella tra Solomon e Hansu è solo una delle tante analogie che i registi Justin Chon (Blue Bayou) e Kogonada (After Yang) mettono in scena, con un montaggio che fa dialogare elegantemente il passato con il presente.
E così, ad esempio, alla partenza di Sun-ja (Kim Min-ha) per il Giappone, fa da contraltare il ritorno di Sun-ja (Youn Yuh-jung) in Corea.
Solo il settimo episodio (non a caso senza sigla) è a sé stante e si distingue formalmente dalla struttura temporalmente stratificata del resto della serie. Mentre la chiusura di stagione (che tutto sembra fuorché avere un finale) è affidata a testimonianze di immigrate coreane in Giappone, che come Sun-ja hanno resistito, nonostante una vita di sofferenze e prove ardue.
Da sottolineare l’ottimo utilizzo delle musiche, affidate a un flauto che contribuisce a rendere coinvolgente l’atmosfera.
Pubblicato il 04/05/2022 da KoreanWorld.it
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