

In La Chiamata dal Cielo (Call of God), Zhanel (Zhanel Sergazina) incontra per caso lo scrittore di romanzi rosa Daniel (Abylai Maratov). Quest’ultimo le chiede indicazioni per raggiungere il caffé “sogno.” I due passeggiano finché uno scippatore ruba la borsa a Zhanel e Daniel la recupera, restituendola alla ragazza. Dalla situazione nasce un interesse reciproco. Tuttavia Daniel non ha ancora chiuso con la sua ex, che lo ha lasciato per un uomo più anziano. E Zhanel preferisce non correre troppo.
A un tratto Zhanel si sveglia. Una voce la chiama al telefono per informarla che quello appena descritto è in realtà un sogno e che, se continuerà a dormire, esso si avvererà. Zhanel deve quindi decidere se svegliarsi o riaddormentarsi, continuando a sognare quello che però si prospetta essere un incubo. Infatti al desiderio e alla passione segue subito la possessione e la gelosia, che intossicano il rapporto tra i due novelli amanti.

Titolo Originale
Kõne taevast
Genere
Drammatico, Fantasy
Regia e Sceneggiatura
Kim Ki-duk
Interpreti
Zhanel Sergazina, Abylai Maratov, Seydulla Moldakhanov, Aygerim Akkanat, Artykpai Suyundukov, Omurbek Nurdinov, Nazbiike Aidarova, Tilek Sarybaev, Karas Zhanyshov
Estonia, Lituania, Kirghizistan, Stati Uniti, Cina, 2022, 81′

La Chiamata dal Cielo (Call of God), opera ultima e postuma di Kim Ki-duk, è il testamento prematuro di un’anima perennemente INQUIETA.
Coprodotto tra Estonia e Lituania e girato in Kirghizistan, La Chiamata dal Cielo (Call of God) succede alle note vicende che hanno segnato la vita e la carriera del regista. Dall’incidente sul set di Dream, in cui Lee Na-yeong rischiò di morire impiccata, Kim Ki-duk non si riprese più, sia artisticamente che psicologicamente. E lo testimoniò sia con la sua produzione ultima, non di certo esaltante, sia con l’autoterapico Arirang.
Successivamente fu il turno di Moebius e delle accuse di molestie sessuali che coinvolsero lui e il suo attore feticcio Cho Jae-hyun. L’episodio comportò per entrambi l’esilio dal Chungmuro. Ciò lo costrinse ad emigrare per l’appunto nei paesi dell’ex Unione Sovietica, fino a quando fu la Covid-19 ad accanirsi mortalmente contro di lui. Perfino di fronte alla sua dipartita, restò ignominioso in patria. Triste e cinico destino per un alfiere dell’Hallyu, se non in Corea, di sicuro in Europa, dove aveva ottenuto numerosi riconoscimenti, culminati con il (tardivo) Leone d’Oro a Venezia per Pietà.
Girato in un bianco e nero sporco, che riduce la poetica di Kim Ki-duk all’essenziale, La Chiamata dal Cielo (Call of God) riflette il calvario della sua esistenza.
Che è quella di un’anima tormentata dai sensi di colpa, come quello di Zhanel dopo aver fatto ascoltare il suo amplesso con Daniel alla ex di quest’ultimo. In un gioco a specchio in cui la protagonista commette gli stessi errori che imputa al proprio partner, il regista mostra i suoi dissidi interiori irrisolvibili. Perché per quanto si voglia raggiungere un equilibrio stabile, dalla passione nasce l’amore, e dall’amore nasce la possessione e con essa il fidarsi-non fidarsi (il tiro a segno ai palloncini, l’imboccare l’altro con un coltello affilato) e l’annullarsi l’un l’altro, uscendo solo mascherati (facendo di necessità covid virtù).
In tutto questo, la verga di legno diventa un simbolo fallocentrico che fa da peduncolo ad una mela, frutto della diaspora dal paradiso terrestre, luogo simbolico di un amore assoluto utopico. Il finale, a colori, e affrontato con consapevolezza e serenità, infonde speranza per una ciclicità (Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera) superabile, o forse permanente, ma che vale la pena essere vissuta. Poiché in fondo, dalla vita, così come dalla morte, non c’è scampo.
Pubblicato il 10/04/2023 da KoreanWorld.it
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.