

La notte del 15 aprile 2014 il traghetto Sewol partì dal porto di incheon diretto verso l’isola di Jeju. A bordo vi erano 476 passeggeri, inclusi 325 studenti in gita scolastica. Finché il mattino dopo iniziò ad affondare, provocando uno dei più grandi disastri della storia della Corea in tempo di pace. In meno di mezz’ora il documentario In The Absence concentra testimonianze tramite immagini di repertorio e interviste a sopravvissuti, familiari delle vittime e sommozzatori. Inoltre aggiunge considerazioni sulle responsabilità politiche di una tragedia che poteva essere evitata.

Titolo Originale
부재의 기억 (bu-jae-eui gi-eok)
Genere
Documentario
Regia e Sceneggiatura
Yi Seung-Jun
Corea del Sud, 2018, 29′

Il naufragio del traghetto Sewol è una ferita ancora aperta nel cuore della Nazione. Lo testimoniano la miriade di documentari che sono stati prodotti fino ad oggi. Come ad esempio The Truth Shall Not Sink with Sewol di Ahn Hae-ryong e Lee Sang-ho, Upside Down di Dong B. Kim, o i documentari di Kim Ji-young (Intention e Ghost Ship). Anche il cinema di finzione ne ha tratto ispirazione, e nel 2018 è uscito Birthday, che si focalizza non tanto sull’incidente in sé, ma sull’elaborazione del lutto da parte dei familiari delle vittime.
In In The Absence, Yi Seung-Jun, il regista degli apprezzabili documentari sulla disabilità Planet of Snail e Wind on the Moon, si differenzia dal resto dei lavori dei suoi colleghi, non solo per il minutaggio tirato, ma soprattutto per un uso preponderante del materiale di repertorio fornito dalle stesse vittime e dai responsabili del mancato soccorso.
Ciò che infatti sbalordisce è che gli agenti del governo si siano preoccupati esclusivamente di filmare ciò che stava accadendo, per mostrare alla Casa Blu il quadro della situazione. Ma la Presidente Park Geun-hye fu colpevolmente assente per tutta la mattina. Quando prese in mano le redini del comando delle operazioni di soccorso, non solo era già troppo tardi, ma sembrava avere una comprensione limitata della situazione disperata.
Nel frattempo, una sola nave di pattuglia arrivò in soccorso dei superstiti. Tra questi vi era il capitano della nave, colpevole di essersela svignata dopo aver condannato un’intera generazione alla morte con il suo ordine di non muoversi. E i poveri ragazzi, istruiti da una vita ad obbedire agli ordini degli adulti, non fecero altro che attenersi alle direttive ricevute. Sono gli stessi genitori a rammaricarsene, sapendo in cuor loro che se invece si fossero gettati in mare di loro iniziativa, avrebbero potuto salvarsi.
Solo il giorno dopo la Presidente giunse sul luogo del disastro. Per salvarle la faccia si ipotizzò, senza fondamento, che si fossero create delle sacche d’aria nel relitto e che si potesse sperare nel salvataggio di altri sopravvissuti. Ma la conseguente operazione di salvataggio e la stessa ipotesi si rivelarono fallaci.
A recuperare i cadaveri delle vittime, poi, non ci pensò il governo, ma dei semplici civili, sommozzatori volontari che presero talmente a cuore la vicenda da rimanerne profondamente segnati. Come nel caso del sommozzatore Kim Gwan-hong, che si suicidò subito dopo il recupero del relitto, eseguito due anni dopo l’incidente. E non è un caso che il traghetto riemerse solo dopo la deposizione di Park Geun-hye, rea tra l’altro di aver compiuto atti illeciti, tra cui corruzione e abuso di potere.
Pubblicato il 22/11/2020 da KoreanWorld.it
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